Continua la riflessione sul pensiero maritainiano



di Giancarla Perotti

RUBRICA
La contemplazione per le strade nel “Il contadino della Garonna”

Nelle opere di Maritain troviamo una categoria molto cara al filosofo: la contemplazione che troviamo in Questioni di coscienza, Amore e amicizia, Azione e contemplazione, Il contadino della Garonna. Innanzitutto, egli osserva che la vita mistica, che è più ampia della vita contemplativa, si ottiene quando un’anima vive sotto il regime dell’amore folle di Dio. Per Maritain questa è la condizione di chi si dedica sia alla vita attiva, sia alla vita contemplativa.

Maritain è stato un contemplativo per le strade del mondo. Egli infatti, ha vissuto il primato della contemplazione non nel silenzio del chiostro, ma nel mondo che ha girato. La moglie Raïssa desiderava scrivere un libro dal titolo La contemplation sur les chemins, indirizzato a tutti quei bravi cristiani che, pur adempiendo ai doveri della famiglia e del proprio stato: frequentando la Messa alla domenica, compiendo opere di apostolato, cercando di aiutare il prossimo, pregando e desiderando progredire nella vita spirituale, sono impediti da paure e ostacoli inesistenti, anzi a volte addirittura distolti da coloro che li guidano spiritualmente.

Maritain è convinto che ci sono molte anime che muoiono di sete spirituale, ovvero desiderano essere alimentate nella fede, ma ricevono ben poco, se non attraverso focolai nascosti, ma invisibilmente splendenti. Nel libro Il contadino della Garonna Jacques scrive: “Sono i focolai che la contemplazione si è riservata su questa terra, sia presso i consacrati, sia nel popolo laico, e per mezzo dei quali lo Spirito di Dio viene a toccare le anime assetate”. Le anime di cui parla il filosofo vivono la loro vita in umiltà, non richiede altro che carità e umiltà e un raccoglimento in Dio senza grazie apparenti. Questa via è quella della povera gente, è la piccola via che Santa Teresa di Lisieux ha avuto la missione di insegnarci: una specie di scorciatoia - singolarmente ripida, in verità - dove tutte le grandi cose descritte da San Giovanni della Croce si trovano divinamente semplificate e ridotte al puro essenziale, ma senza nulla da perdere delle loro esigenze.

L’anima che persegue questa via possiede grande coraggio se si abbandona a Colui che ama e passerà per tutte le tappe attraverso cui Gesù vorrà che passi. Essa vuole trovare rifugio soltanto nel suo cuore e vuole anche che gli altri trovino rifugio nel loro cuore. Per Raïssa e Jacques il nostro tempo deve prendere coscienza delle vie attraverso le quali la contemplazione si comunica alla moltitudine di anime che hanno sete di essa e che a essa sono chiamate anche in modo remoto.

Il grande bisogno spirituale attuale è quindi quello di vivere la contemplazione per le strade. Della contemplazione per le strade dobbiamo aver presenti due caratteri di massima importanza: la costante attenzione a Gesù e la carità fraterna. Le precisazioni indispensabili sul primo punto le troviamo nel Diario di Raïssa, dove si legge che ci sono dei contemplativi che pensano che la contemplazione più alta deve fare completamente a meno delle immagini, anche di quella di Gesù; una contemplazione cioè, in cui non entra l’umanità di Cristo. Per Raïssa questo è un grande errore, se si capisce “con quanta verità e profondità il Verbo ha assunto la natura umana, talché tutto ciò che è proprio di questa natura, sofferenza, pietà, compassione, speranza… tutte queste cose sono divenute, per così dire, attributi di Dio. Dunque, contemplandoli, si contemplano gli attributi di Dio, si contempla Dio stesso”. Oltre alle perfezioni divine, il Verbo incarnato possiede delle qualità umane che sono l’oggetto di una contemplazione spirituale, ma con immagini. Ciò che l’anima immagina senza alcuna fatica è Dio Incarnato. Amare, quindi, l’uomo Gesù, unirsi all’uomo Gesù, significa amare Dio.

Riguardo al secondo carattere della contemplazione per le strade, la carità ne rappresenta una parte principale, quando soprattutto la preghiera prosegue nelle relazioni con gli uomini. Sempre nel Contadino della Garonna leggiamo: “Allora guardando i nostri fratelli e ascoltandoli, essendo attenti ai loro problemi e partecipando alle loro pene, noi non cercheremo soltanto di amarli come Gesù li ama, ci sarà accordata nello stesso tempo una grazia più segreta. Non è gran cosa, in verità, che noi diamo loro tutta l’attenzione di cui il nostro povero cuore è capace; ma che al tempo stesso, trae a sé lo sguardo della nostra anima e le profondità del nostro cuore, tutto questo conta molto di più tanto per i nostri fratelli quanto per noi. Padre Voillaume mi diceva un giorno che questo significava vedere Gesù in loro; e Madre Madeleine, da Crépieux, in una formula più sviluppata, che io vorrei adottare, affermava che era un penetrare un po’ del mistero di Gesù stesso e del suo amore per ciascuno di noi guardando e amando i nostri fratelli”.

Esiste un solo comandamento, amare i fratelli fino a dare la vita per loro, è proprio questo amore che fa crescere la contemplazione. Gesù si è identificato nei fratelli e ha fatto suoi i loro dolori.

Per l’uomo impegnato nel mondo contemporaneo, ecco le due vie più desiderabili della contemplazione: contemplare Dio nell’umanità di Gesù da soli e contemplare Gesù nel prossimo che egli ama. Nella prima si è sempre alle prese della mancanza di tempo, ma bisogna fare di tutto per poter perseverare in essa. Nella seconda non mancherà più il tempo, anzi sarà sovrabbondante. Questa via comporta una preghiera pura dove non c’è più il pericolo della routine, delle formule o addirittura dell’assopimento. In questo modo s’impara a incontrare Gesù e i suoi segreti, ma nella fatica delle nostre membra e delle nostre facoltà coscienti. Per ritrovare il riposo è necessaria la preghiera fatta da soli con Gesù.

Per le strade del mondo, oltre a conoscere le miserie, si viene a conoscere anche la bellezza. In ogni istante si mostrano a noi le deviazioni della nostra natura e del nostro amore naturale del creato. Ma in ogni momento siamo anche posti di fronte alla grandezza e alla dignità della nostra natura. Si è portati a pensare che ci sono più tentazioni nel mondo che nel deserto. Ma in realtà non è mai il male come tale a tentarci, ma la legge di Dio e il suo amore ci comandano di rifiutare, in quanto accettarlo equivale a violare l’ordine delle cose. Inoltre c’è da dire che la grazia completa la natura, non la distrugge, anzi la porta a compimento oltrepassandola e facendole abbandonare ciò a cui essa tiene maggiormente.

“Nel peccato stesso della creatura sussiste un mistero che ci è sacro; questa ferita almeno le appartiene, è un miserabile bene per il quale essa impegna la sua vita eterna e nelle cui pieghe sono nascoste la giustizia e la compassione di Dio. Per guarire questa ferita il Cristo ha voluto morire. Per vedere così a fondo come Lui nell’anima peccatrice, bisognerebbe amarla con altrettanta tenerezza e purezza”.

Quando si incontra un peccatore, dobbiamo sempre rispettarlo perché questi, può cambiare vita e avere in paradiso un posto migliore al nostro. Jacques riporta poi l’esempio di Jacques Fesch Giovane che, inseguito dalla polizia per aver rubato una bicicletta, uccise un agente forse accidentalmente e in prigione si riavvicinò a Dio. Il peccato è mistero risveglia in noi tanti problemi, prima di tutto quello molto complesso della relazione tra con il Creatore.

Se essi hanno conosciuto il peccato come la Maddalena o Agostino, oppure hanno “sempre custodito l’innocenza battesimale, come san Tommaso D’Aquino o San Luigi Gonzaga non fa differenza: sono sempre loro ad avere l’amore più grande”. Il tormento degli uomini incapaci di assimilare il peccato non è la paura, è l’amore. “Hanno l’amore folle di Dio e di Gesù. Per mezzo di questo amore sono stretti a Gesù e presi dal desiderio di entrare nel suo cuore e nella sua opera e di portare con Lui la croce che salva il mondo”.

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