L’associazione evidenzia la necessità di mettere in campo tutti gli strumenti a disposizione per tutelare il tessuto imprenditoriale locale e trattenere il gruppo industriale sul territorio, incentivando i vertici di Beko a non rivolgersi a mercati più appetibili
Redazione
ASCOLI PICENO
La Cna di Ascoli esprime grande preoccupazione per la chiusura annunciata da Beko Europe per lo stabilimento di Comunanza, cuore pulsante di un distretto industriale storico di fondamentale importanza per l'economia del Piceno e delle Marche, costretto oggi ad assistere a una delle crisi più profonde della sua storia.
Oltre ai 320 esuberi previsti entro il prossimo anno e alla perdita di altrettanti posti di lavoro sul territorio, in ballo c’è il destino di un indotto che per decenni ha rappresentato un autentico valore aggiunto per il territorio, generando valore e un tasso di occupazione che ora, in un tragico scenario fatto di chiusure e licenziamenti, rischiano di scomparire, lasciando le nostre aree interne prive di uno dei principali punti di riferimento sul piano economico e occupazionale.
La rete di rapporti imprenditoriali e commerciali tessuta per anni attorno allo stabilimento Beko, coinvolge oltre 2.000 lavoratori e centinaia di piccole e medie imprese attive nelle aree interne, che senza i volumi industriali garantite dalla multinazionale potrebbero scomparire nel giro di poche settimane, con ripercussioni gravissime sul tessuto sociale di un territorio già messo a dura prova dal sisma e dal rischio spopolamento.
«Senza lavoro e senza investimenti - commentano Francesco Balloni e Arianna Trillini, direttore e presidente della Cna di Ascoli - la chiusura dello stabilimento Beko genererebbe un effetto domino su tutte le aziende del territorio, mettendo a rischio attività storiche e radicate del posto, e compromettendo la tenuta occupazionale dell’area di Comunanza e dei comuni limitrofi».
L’associazione evidenzia la necessità di mettere in campo tutti gli strumenti a disposizione per tutelare il tessuto imprenditoriale locale e trattenere il gruppo industriale sul territorio, incentivando i vertici di Beko a non rivolgersi a mercati più appetibili, e a puntare sulla manodopera qualificata e alla comprovata esperienza delle maestranze del Piceno nel portare avanti la produzione di elettrodomestici.
A oggi, però, le difficoltà con cui le imprese convivono mettono a rischio la competitività del nostro territorio non solo nel confronto con l’estero, ma con province e regioni distanti appena una manciata di chilometri. Lo conferma la mancata estensione della Zes (Zona economica speciale), al Piceno, che paga in questo modo l’iniqua concorrenza del vicino Abruzzo, dove le imprese possono contare su sgravi e agevolazioni dai quali le Marche sono escluse.
A questo proposito, misure come la Zona logistica semplificata (Zls), con agevolazioni e semplificazioni significative per chi fa impresa, vanno attivate tempestivamente e abbinate a degli aiuti concreti, previsti nell’ambito di un provvedimento ad hoc che possa tutelare un distretto industriale unico nel suo genere nella zona, con alcune tra le realtà imprenditoriali più virtuose del Piceno.
Realtà che, nel tempo, hanno già fatto i conti con il rischio delocalizzazione e che dal 2018 a oggi, come confermano i dati elaborati dal centro studi Cna Marche, hanno assistito alla perdita di ben 193 posti di lavoro (dagli allora 515 agli attuali 322), nell’ambito della fabbricazione di elettrodomestici, con un calo occupazionale del 37,5 per cento che rischia di toccare quota 100 per cento nel giro di pochi mesi.
Si tratta di un rischio che il Piceno non può permettersi di correre, anche alla luce degli investimenti che le imprese locali hanno scelto di portare avanti, grazie alla disponibilità garantita dal programma NextAppennino, e che senza il polo industriale di Comunanza perderebbero ogni efficacia. Tra i 220 milioni concessi alle Marche sui 700 complessivi già stanziati nell’ambito della Macromisura B, e tra quelli in attesa di essere scaricati a terra ci sono investimenti legati a doppio filo non solo all’industria dell’elettrodomestico, ma a una presenza occupazionale e abitativa che, in caso di chiusura dello stabilimento Beko, verrebbe inevitabilmente a mancare, con gravissime ripercussioni per chi ha scelto di investire in quei territori.
«È necessario individuare al più presto la soluzione migliore per tutte le parti in causa, in grado di garantire benefici all’azienda, con le dovute garanzie in prospettiva futura, e al tempo stesso al personale e le migliaia di operatori di tutte le piccole e medie imprese che compongono un indotto da tutelare a ogni costo - proseguono Trillini e Balloni -. Rinunciare a tutti i posti di lavoro in gioco significa abbandonare ogni prospettiva di sviluppo e occupazione nelle aree interne, che più avvertono il bisogno di dinamismo e presenza imprenditoriale, anche dei terzisti, per tornare a vivere e ad accogliere nuove famiglie e attività. Come associazione, oltre a garantire la massima attenzione sulla questione, chiediamo alle istituzioni che la tutela dell'occupazione e la salvaguardia del distretto industriale di Comunanza diventino una priorità assoluta per assicurare la stabilità economica dell'intero territorio provinciale, e non compromettere gli sforzi in atto per combattere lo spopolamento delle aree interne».
© Riproduzione riservata - L'Alba