Conoscere e far conoscere Jacques Maritain



A cura di Giancarla Perotti

RUBRICA
In occasione del cinquantesimo dalla morte di uno dei più straordinari filosofi, padre del personalismo, Jacques Maritain, avvenuta il 28 aprile 1973 inizia la riflessione sul multidisciplinare pensiero maritainiano.

La ricerca della verità negli anni della giovinezza inquieta Jacques Maritain (1882-1973) è vissuto nel secolo scorso, ma i suoi scritti hanno anticipato il nostro tempo proponendo ad una società, in via di globalizzazione, le mete possibili per un’intesa tra i popoli fondata sulla comprensione reciproca in un dialogo interreligioso e nella prospettiva di una democrazia non solamente formale, radicata nella libertà, ma dedita a realizzare la giustizia.

Non si può parlare di Jacques senza citare con lui anche Raïssa, infatti Jacques Maritain e la moglie hanno condiviso le ricerche filosofiche, le battaglie culturali e politiche, tanto che sarebbe più giusto indicare la filosofia di Maritain come la loro filosofia includendo anche il pensiero di Raïssa e per meglio capirla bisogna seguire i coniugi Maritain in tutta la loro avventura spirituale, perché la loro filosofia non è nata a tavolino e non è soltanto il pensiero di un uomo, ma frutto di dialogo con filosofi e teologi, con romanzieri e poeti, con artisti e musicisti che frequentavano la loro casa e i loro circoli tomisti e per conoscerla più ampiamente è necessario partire dalle loro numerose corrispondenze. Dopo la morte della moglie, Jacques, ricostruisce il diario di Raïssa e nell’introduzione scrive: “A dominare tutto il resto c’era poi la sua preoccupazione per il mio lavoro di filosofo, e per la specie di perfezione che ne aspettava. A questo lavoro Raïssa ha sacrificato tutto. Nonostante tutte le pene, morali e fisiche, e, in alcuni momenti, quasi una completa mancanza di forze, è riuscita, perché la collaborazione che le avevo sempre domandata, - di rileggere sul manoscritto tutto quello che ho scritto e pubblicato, sia in francese, sia in inglese -, era per lei un dovere sacro”.

Quella dei Maritain è stata una giovinezza inquieta: divenuti atei e anarchici, frequentavano le università popolari e si sposarono civilmente nel 1904. Tra alcuni appunti ritrovati si leggono alcuni pensieri: “Da un certo punto di vista, la vita mi sembra un perpetuo e sconcertante salto nel caso… E poi il vuoto è l’ignoranza sempre. La verità oggettiva sfugge, come la bellezza oggettiva. Il dubbio, il dubbio autentico dello stesso dubitare. La ragione gira su se stessa: macinino da caffè che macina vuoto”. Raïssa e Jacques iniziano un’avventura spirituale che li porta dall’anarchia alla contemplazione del mistero di Dio, ma sempre supportati dal bisogno della verità e dalla speranza nella verità, condizione che professori della sorbona, con il loro scetticismo non potevano soddisfare.

Durante una passeggiata all’Orto botanico, i due giovani, pervasi da un’angoscia metafisica, che penetrando si trasforma in una disperazione totale pensano al suicidio. Dopo aver riflettuto a lungo sul mistero della vita e della sofferenza, decidono di fare ancora credito alla vita nella speranza di arrivare alla verità: “Se quell’esperienza non fosse riuscita, la soluzione sarebbe stata il suicidio; Il suicidio prima che gli anni avessero accumulato la loro polvere, prima che le nostre giovani forze si fossero consumate. Volevamo morire con un libero rifiuto, se non era possibile vivere secondo la verità”.

A salvare i due giovani dalla disperazione fu Péguy portandoli ad ascoltare le lezioni di Bergson. I Maritain non sapevano cosa cercavano dalle lezioni di Bergson e scrive: “Questa filosofia della verità, questa verità, ardentemente cercata, così invincibilmente creduta, era ancora per noi una specie di Dio sconosciuto; le riservavamo un altare del nostro cuore, le riconoscevamo ogni diritto su di noi, sulla nostra vita. Ma non sapevamo ciò che essa sarebbe stata, per quale via, con quali mezzi poteva essere raggiunta. “Inizialmente la filosofia di Bergson diede loro la risposta alla loro inquietudine intellettuale apprendendo che per mezzo dell’intuizione è possibile conoscere l’Assoluto, e avere delle certezze sul senso della vita”. Ma quando i Maritain si convertirono si resero conto della incombatibilità della filosofia bergsoniana con il credo della fede cattolica soprattutto quando iniziarono a leggere San Tommaso.

Nel 1930 Maritain scrive Il dottor Angelico dove nella prefazione al testo Jacques scrive le linee fondamentali del tomismo: “C'è una filosofia tomista, non c'è una filosofia neo-tomista. Il tomismo non vuole essere un ritorno al medioevo. Il tomismo usa la ragione per distinguere il vero dal falso, non vuole distruggere ma purificare il pensiero moderno e integrare tutte le verità scoperte dai tempi di San Tommaso. Il tomismo non è né di destra né di sinistra. Il tomismo è una saggezza. Tra lui e le forme particolari della cultura debbono regnare scambi vitali incessanti, ma in se stesso nella sua essenza è rigorosamente indipendente da queste forme particolari. Giudicare il tomismo come un abito usato che si portava al XIII secolo e oggi non si porta più, è ritenere che il valore della metafisica sia una funzione di un certo tempo, e un modo di pensare propriamente barbaro. È un modo puerile giudicare la metafisica in funzione di uno stato sociale da conservare. La filosofia di San Tommaso è in se stessa indipendente dai dati della fede e nei suoi principi e nella sua struttura non si rifà che alla esperienza e alla ragione, per cui questa filosofia, pur restando perfettamente distinta è in comunicazione vitale con la saggezza superiore della teologia e con la saggezza della contemplazione”.

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